IL PRETORE Sciolta la riserva precede: Visti gli atti ed i verbali di udienza nella causa civile promossa dal comune di Napoli, in persona del sindaco pro-tempore, on. Antonio Bassolino, rapresentato e difeso dagli avv.ti Fulvio Santoro, Aldo Ruperto e Pietro Catanoso, nello studio di quest'ultimo elettivamente dom.to, debitore opponente, contro l'avv. Fulvio Ricca, elettivamente dom.to in Reggio Calabria presso lo studio dell'avv. Filippo Malara, che lo rappresenta e difende nel presente giudizio per mandato in atti; creditore opposto, avente per oggetto opposizione all'esecuzione; Ritenuto che le eccezioni formulate dal debitore opponente, comune di Napoli circa l'inammissibilita' ex art. 11, 1-bis, della legge n. 68/1993 della esecuzione forzata promossa dall'avv. Fulvio Ricca, nonche' l'esistenza di un presunto vizio rilevabile d'ufficio ex art. 1-bis, punto 4-bis, della legge n. 720/1984, appaiono tali da far presumere l'esistenza di vizi di costituzionalita' della legge n. 68/1993 per i seguenti motivi: 1. - Difformita' del criterio disciminativo della pignorabilita' delle somme rispetto alla sentenza n. 138/1981 della Corte costituzionale e all'orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione. La sentenza della Corte costituzionale n. 138/1981 ha sancito l'ammissibilita' delle esecuzioni forzate nei confronti della p.a., con l'unico limite dei beni e delle somme destinate per loro natura, legge ed atto amministrativo, all'assolvimento di un pubblico servizio. Questo per garantire l'interesse generale preminente che la p.a. ha di assolvere ai propri scopi istituzionali. Al di fuori di questo limite non potrebbero ammettersi discriminazioni di carattere processuale e/o sostanziale che pongano la p.a. su un piano di privilegio rispetto al privato cittadino, quando i rapporti controversi abbiano carattere squisitamente privatistico. Di converso, l'art. 11 della legge n. 68/1993 nelle sue varie articolazioni, avrebbe limitato l'esercizio del diritto di difesa del privato nei confronti della p.a., in quanto viene a questi precluso l'utilizzo degli strumenti processuali previsti dal codice di rito relativi all'esecuzione forzata dei giudicati di condanna. Orbene, mentre il primo comma dell'art. 11 della legge n.68/1993 non presenterebbe, ictu oculi, questioni di illegittimita' costituzionale, in quanto indica partitamente quali siano le somme soggette ad esecuzione forzata ed impone, all'ente debitore, l'onere di far valere le relative eccezioni con gli strumenti ordinari delI'opposizione all'esecuzione ex art. 615 (cfr. circ. 20 F.L in Gazzetta Ufficiale n. 180/1993, altrettanto non puo' dirsi per la parte successiva della norma. Essa, infatti, fornisce all'ente pubblico strumenti assolutamente inediti, in contrasto con i principi costituzionali di par condicio creditorum, di uguaglianza, di difesa, laddove dichiara l'inammissibilita' di esecuzioni forzate presso soggetti diversi dal tesoriere. Lo stesso e' a dirsi per il punto 4- bis della legge n. 720/1984 (comma cosi' aggiunto dalla legge n. 68/1993 di conversione del d.-l. 18 gennaio 1993 n. 8, che esclude l'ammissibilita' di esecuzioni forzate presso le sezioni decentrate del bancoposta o della sezione di tesoreria provinciale dello Stato, con la sanzione di nullita' rilevabile d'ufficio. Ora, se e' pur vero che questa situazione di privilegio conferita all'Amministrazione costituisce uno ius singulare, motivato dalle esigenze contigibili ed urgenti di ovviare allo stato di dissesto degli enti pubblici territoriali, e' altrettanto vero che non si possono comprimere o, quel che e' peggio, sacrificare, senza limiti di tempo, i principi costituzionalmente protetti del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione e di eguaglianza ex art. 3. 2. - Rilevabilita' di ufficio dei vizi della procedura esecutiva contro la p.a.: Profili di incostituzionalita' ex art. 3 della Costituzione. I vizi delle procedure esecutive devono necessariamente ricondursi agli artt. 615 e 617 del c.p.c. ed il nostro diritto processuale non conosce vizi rilevabili d'ufficio che non siano quelli previsti espressamente dal codice di rito. Questo sistema normativo dovrebbe applicarsi nel nostro ordinamento a tutti i soggetti giuridici e non pare opportuno e costituzionalmente corretto che il legislatore discrimini i soggetti privati dalla p.a., attribuendo solo a questo soggetto degli strumenti processuali inediti e certamente molto efficaci. Appare evidente che la normativa dell'art. 11, 1-bis e dell'art. 1-bis, punto 4-bis, della legge n. 720/1984, non solo opera questa discriminazione processuale irrazionale tra i diversi soggetti, ma sembra fatta apposta anche per eludere le disposizioni circa la pignorabilita' dei beni degli enti pubblici. Infatti, la non ammissibilita' delle esecuzioni forzate presso soggetti diversi dal tesoriere (o presso le sezioni decentrate del bancoposta) comporta una impignorabilita' di fatto di tali beni non per la loro destinazione ai fini istituzionali dell'ente, ma per la lor collocazione presso un soggetto che non puo' essere considerato terzo anche se detiene somme pignorabili per loro natura, (e non sarebbero nemmeno ammissibili pignoramenti presso il debitore, qui il contrasto della normativa con la fattispecie della sentenza n. 138/1981 e' notevole). Se si considera che all'ente pubblico fanno capo una molteplice serie di rapporti obbligatori attivi, molti dei quali di carattere privato, e che i titoli di spesa devono necessariamente essere estinti per mezzo dei c/c postali in virtu' dell'art. 67-bis della legge di contabilita' di Stato integrato ora dall'art. 13 del d.P.R. n. 367/1994 (cfr. Sole 24 ore del 4 gennaio 1994, articolo a firma Roberto Galullo), non si capisce come possano impedirsi le esecuzioni forzate presso le sezioni decentrate del bancoposta, senza che vi sia un criterio che discrimini a monte le varie entrate dell'ente, in ragione della loro natura o destinazione agli scopi istituzionali dell'ente. Nemmeno la normativa in corso di approvazione, (d.lgs. del 21 dicembre 1994 sul nuovo ordinamento della finanza locale, cfr. art. 123 con la normativa oggi censurata), che vede il tesoriere quale depositario di tutte le entrate del comune, puo' giustificare la sua legittimazione esclusiva quale terzo pignorato. I rapporti di deposito e di altro, i canoni di locazione ed i pagamenti fatti da privati a titolo diverso dalle entrate tributarie, diventano assolutamente impignorabili in virtu' dell'effetto preclusivo della norma che oggi si censura di costituzionalita'. Anche se il creditore opposto ha fatto rilevare che solo le somme affluite nelle contabilita' speciali sono impignorabili presso le sezioni decentrate del bancoposta, pena la nullita' rilevabile anche d'ufficio, non si capisce in virtu' di quale principio certe determinate somme possano essere pignorabili presso un soggetto e non pignorabili presso altro soggetto. Non si riesce nemmeno a comprendere come le due norme si possano coordinare tra di loro, perche' l'art. 11, 1-bis si dovrebbe porre come norma di assoluto sbarramento rispetto a quella del punto 4- bis, o questa si porrebbe come specificazione della prima? Per concludere, questo pretore rileva che il legislatore e' libero di emanare norme di carattere sostanziale che determinino l'impignorabilita' dei beni della p.a., (secondo i principi generali), ma non e' altrettanto libero di emanare norme processuali atipiche che incidano sul diritto di difesa e quindi di eguaglianza del cittadino offrendo alla p.a. strumenti tali da precludere l'esercizio stesso di tali diritti.